Le Frottole di Isnello
Le Frottole di Isnello
Inno a San Giovanni Bosco
Musica del maestro Pietro Anselmo - Versi del Sac. Giuseppe Peri
Isnello, dicembre 1948
INNO A SAN GIOVANNI BOSCO Musica del maestro Pietro Anselmo - Versi del Sac. Giuseppe Peri
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Inno al S.s. Crocifisso
Musica del maestro Vito Graffeo - Versi del Sac. Prof. Cristoforo Grisanti
Isnello, 1868
INNO AL S.s. CROCIFISSO Musica del maestro Vito Graffeo - Versi del Sac. Prof. Cristoforo Grisanti
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Inno a San Giuseppe
Musica del maestro Mario Di Martino - Versi del Dott. Carmelo Virga
Isnello, 1926
INNO A SAN GIUSEPPE Musica del maestro Mario Di Martino - Versi del Dott. Carmelo Virga
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L’inno per la frottola a San Giuseppe è stato composto nel 1926 dal maestro Mario Di Martino, autore della musica, e dal farmacista Carmelo Virga, autore dei versi in devozione al Santo per la nascita del figlio Giuseppe.
Questo inno è stato concepito per banda e coro polifonico a tre voci (Contralti, Tenori e Baritoni) ed è suddiviso in due tempi: un Andante tranquillo, preceduto da un Andante poco mosso, e un Allegro. Caratteristica della composizione è la scelta delle voci. Infatti, l’aver optato per l’utilizzo di queste specifiche sezioni di voci può essere probabilmente dovuta al fatto che parecchia musica, risalente al quel periodo, è stata scritta per questo genere di formazione corale, anche perchè erano tempi ancora poco maturi per vedere le voci femminili unirsi al canto. Non è da escludere invece che il Di Martino, avendo studiato canto corale e conoscendo bene la materia, abbia omesso soprani e bassi perché rappresentano le parti corali meno facili per l’esecuzione vocale e, dunque, meno adatte per semplici amatori.
Nell’archivio storico della banda di Isnello è presente la copia fotostatica della partitura originale in possesso degli eredi ed una successiva riduzione per media banda curata dal maestro Nicola Gerardi. Entrambe hanno le linee di canto indicate con i relativi versi. Nello stesso archivio sono presenti due versioni con strumentale completo delle parti: la prima è una trascrizione del maestro Maria Rosa Mazzola, all’epoca direttore della banda, datata 1989; la seconda è stata trascritta nel 2000 da don Pietro Piraino, figlio del tesoriere dell’epoca, e anno in cui la frottola fu eseguita per l’ultima volta.
In generale è stata raramente eseguita probabilmente per una forma poco assomigliante ai motivi degli inni della tradizione popolare e per questo, quindi, totalmente sconosciuta a gran parte degli isnellesi.
Gli stessi passaggi in partitura del canto del I tempo dell’Inno nella versione originale del maestro Di Martino (sopra) e nella riuzione per media banda del maestro Gerardi (sotto)
Un manoscritto dell’Inno prodotto da Maria Rosa Mazzola il 12 maggio del 1989
INNO A SAN GIUSEPPE
per la Frottola
I TEMPO (Andante poco mosso-Andante tranquillo)
Mistiche faci brillano
Di vivo e santo amore
Inno ideal purissimo
Che ci conquista il core
Omaggio, laude e gloria
A San Giuseppe il forte
Dispensator di grazie
Conforto nella morte
Fra carità e giustizia
Di celestial candore
Santo fra i santissimi
Fu padre al Redentore
II TEMPO (Allegro)
Raggio di sole fulgido
Consolatore d’afflitti
Patrono, anima e vita
Di tutti i derelitti
Volgi pertanto l’occhio
In ver di noi mortali
Da te imploranti grazie
Per tutti i nostri mali
Ave patriarca inclito
D’ogni virtù modello
Che regni eterno e immenso
in ciel sovran più bello
Maestro Mario Di Martino, autore della musica
Nasce ad Isnello il 24 settembre del 1876.
Nel luglio 1900 consegue il Diploma di Magistero di Strumentazione per banda presso il Regio Conservatorio di Musica di Palermo e, il mese successivo, la Licenza nella Scuola di Canto Corale con il secondo posto nel Ruolo Tenori.
Le sue grandi doti musicali hanno riscontro immediato con il conseguimento del Diploma di merito e relativa Medaglia d’argento al IV Concorso per la canzone siciliana promosso dalla prestigiosa Istituzione Artistico-Musicale “L’arte melodrammatica” di Palermo con la canzone “Oi moru!”.
Il suo primo incarico di maestro direttore gli viene affidato a Naso (ME), nella locale banda. Nel 1903 ne è già dimissionario per assumere la direzione della Banda Cittadina di Isnello, suo paese natio, dove diviene anche l’organista principale della Chiesa Madre. Attorno agli anni venti gli viene affidata anche la direzione della banda di Collesano. Detti incarichi verranno ricoperti fino all’anno della sua morte avvenuta il 23 ottobre 1937.
Alla guida della banda di Isnello ottiene, agli inizi degli anni trenta, il secondo posto al Concorso Musicale del giovedì Santo a Caltanissetta con l’esecuzione di una sua marcia funebre andata dispersa.
Permane tutt’oggi il ricordo di un musicista eccezionale amato dagli isnellesi soprattutto per la sua grande professionalità e sensibilità artistica.
Della sua produzione artistica ancora oggi è presente qualche traccia delle sue composizioni, gentilmente concesse di recente dalla famiglia alla banda di Isnello.Tra queste un particolarissimo “Tantum Ergo” per basso e banda ed un valzer dal titolo “Fiori sboccianti” dedicato ai genitori. Sono conservate, nell’archivio della banda di Isnello, diverse sue trascrizioni originali manoscritte di alcuni passi d’opera.
Compone nel 1907 l’Inno a Maria Ss. del Carmelo enel 1926 l’Inno a San Giuseppe per la frottola mentre a lui è attribuita la riduzione per banda dei primi del ‘900 dell’Inno alla Santa Croce.
Dott. Carmelo Virga, autore dei versi
Nasce ad Isnello il 19 dicembre 1869 dal farmacista Don Giovan Filippo Virga e da Donna Lucrezia Cirincione. E’ il nipote del celebre storico Carmelo Virga.
Divenuto farmacista come il padre, il 13 febbraio 1908 sposa Maria Concetta Pernice da cui nascerà Damiano Virga, Medico-Chirurgo e Sindaco di Isnello negli anni ’50.
Instaura una collaborazione a cavallo di due decenni con il maestro Mario Di Martino componendo i versi per l’Inno per la frottola a Maria Ss. del Carmelo nel 1907 e, a distanza di 19 anni, nel 1926, i versi per l’Inno per la frottola a San Giuseppe. Questo lascia presagire che, probabilmente, non siano state le uniche occasioni in cui i due hanno incrociato le loro passioni.
Muore ad Isnello il 16 marzo 1944.
Probabilmente il figlio Damiano eredita dal padre la vena poetica, non solo nella semplice forma letterale ma anche in quella associata alla musica. Questi, infatti, oltre ad aver composto una poesia dal titolo “La frottula” ha scritto le parole per l’inno “L’ave” del maestro Pietro Anselmo e ancora altri componimenti raccolti recentemente in una pubblicazione.
La frottola in “Folklore di Isnello”
estratto dalle pp. 16-18 del volume "Le Frottole di Isnello - la fede di un popolo che dal XIX, una generazione tramanda all'altra"
Non possiamo non dedicare un capitolo di questo volume a Cristoforo Grisanti, tra l’altro autore di uno degli inni per la frottola del Ss. Crocifisso.
Tralasciando per un momento le sue notizie biografiche che vedremo avanti nel dettaglio (pagg. 57-58), ci soffermiamo sulla sua attività di antropologo.
la prima versione del "Folklore di Isnello" pubblicata nel 1899
Da numerose fonti e scritti, è assai nota la sua collaborazione con gli studiosi palermitani Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone Marino per i quali produsse numerosi articoli raccolti in un volume, pubblicato a due riprese dall’editore Alberto Reber prima nel 1899 e poi nel 1909, con il titolo di “Folklore di Isnello”.
Quello che segue, apparso per la prima volta nel 1897 con il titolo di << La festa del Corpus Domini in Isnello>> nella rivista “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, è un estratto di questa opera che racconta delle usanze per la solennità Corpus Domini ad Isnello tra le quali la frottola:
“L’altra cosa che ti dà all’occhio è il giro che, verso le tre pomeridiane, dopo un lungo sparo di mortaretti e fra il lieto scampanare di tutte le chiese, si fa per le solite vie la vigilia e il giorno della festa. Vi prende parte grande numero di popolo.
Precedono i tamburini in zimarre di damasco bianco e cappelli, dello stesso colore, a larghe falde e gallonati d’oro; poi gli stendardi maggiori portati, sotto la guida dei provetti, da giovani contadini, borgesi e pastori, che, premurosi di sposarsi, vogliono alle fanciulle, le quali ben vestite e pettinate, son tutte occhi alle terrazze, ai balconi, alle finestre o colle mamme loro sugli usci delle case e agli sbocchi delle vie, mostrarsi abili a portarli diritti come le candele, e capaci di sostenerli, ancorché alti e pesanti, sulla palma della mano, sul pugno chiuso, sulla spalla, sulla fronte, sui denti. Indi gli stendardi minori, la banda musicale, l’orchestra, i cantori e spesso cori di giovanetti in forma di angioli che qua e là cantano l’inno di occasione; in fine la bara cui segue grande frotta di popolo donde il nome di frottula a questa processione.
Nei tempi andati, ora non più, invece di bara ci era il carro tirato da buoi, ed io, piccino, ricordo di averne veduto solo le grosse ruote di legno tutte sciupate.
I più ricchi e divoti proprietari portavano in giro pendenti da una lunga asta le fardi (falde, tessuti bellissimi in seta, rossa, verde, rosata, cerulea, argento od oro), lunghe circa m. 5, larghe cm. 80 e del valore medio di L. 200 ciascuna, che dopo offrivano alla Chiesa Madre, come ancor usa, per ornarsene; e comeché tempi diversi dai nostri, i più savi, lungo le vie, facevan fuochi di gioia con pistole, fucili e carabine”.
Probabilmente quella più pittoresca è la descrizione della frottola data nella seconda parte del libro dove il Grisanti raccoglie una ulteriore serie di articoli che pubblicava per l’ Archivio per lo studio delle tradizioni popolari che si aggiunsero alla seconda edizione del libro, quella del 1909. E’ il racconto del piccolo Cristoforo, che in un giorno di festa, è in attesa del passaggio della frottola. Siamo attorno al 1845, e già all’epoca la frottola si svolgeva allo stesso modo di come l’abbiamo ereditata e la continuiamo a fare tutt’ora. Il titolo è “Gli stendardieri”:
Eran le 14 del dì otto dicembre, sacro alla SS. V. Immacolata, e dopo un rumoroso sparo di mortaretti e un’allegra scampanata di tutte le chiese, udii sonare in piazza la musica cittadina. Compresi che cominciava la frottola (processioncina popolare) e mi proposi di vederla passare d’innanzi la mia casa senza punto scomodarmi.
Giravano essi per la via maggiore tutto il paese; a quando a quando, fermatisi, cantavano in musica un inno di occasione, e poi, sempre in ordine, avanti.
La strada, dove io abito, per sorte, corre larga, piana, diritta con uno sfondo ai monti verso occidente per un metri dugento, e mi diedi ad aspettarli ed a guardare da dietro i vetri di un mio balcone.
Stetti: e finalmente, dopo lunga attesa, spuntarono, e primi, come avanguardia, uno sciame di allegri biricchini, che, rincorrendosi, accompagnavano il tradizionale tamburino tutto chiuso in un suo rosso zimarrone di gala; indi due vistosi stendardi, tutti seta e oro, cordini, fiocchi, nastri svolazzanti e campanelli di argento, portati a tratti e a turno, ciascuno da baldi giovini pastori, borghesi, contadini, prossimi a sposarsi; indi la musica in grande uniforme, la bara, il popolino, fuori donne, e il tutto formava un bel quadro a vedere.
Procedevano senza ombra di fretta: e, arrivati a una sessantina di metri da me, secondo l’uso, si fermarono per cantare; il tamburino tacque, i portatori degli stendardi fecero alto innanzi la mia casa, e lì, o per isvago o per attirarsi l’attenzione delle giovinette, tutte linde e pulite, affacciate alle finestre, ai balconi, alle terrazze, o ferme con le mamme sulla soglia di casa o a gli sbocchi delle viuzze, vollero (e il tempo ci era) far prova di forza, di destrezza e di niculibio (equilibrio) nel maneggio degli stendardi.
Compresi e vidi che chi aveva portato fin là uno stendardo alto e a due mani, lo posò a terra; che, curvatosi e afferratolo al pié dell’asta colla sola destra, indi con la sola sinistra, lo sollevo alto così col braccio fermo e disteso, che pareva volesse con l’estrema punta della croce dorata toccare il cielo.
Non contento, li sostenne sui pugni chiusi destro e sinistro, indi sulla palma, dopo, sul dorso di ciascun mano; poscia colla destra e lo posò sull’omero sinistro e con la sinistra sul destro; da ultimo (e fui sorpreso) sui denti, sovra a cui aveva cacciato in fretta un fazzolettino bianco, per non si lordare la bocca, senza omettere, in tutti questi atti, di muoversi pian piano a diritta e a manca, ora con una, ora con le due mani puntate ai fianchi e a gli occhi in alto, come per reggersi e conservare l’equilibrio.
Fatto ciò, fresco e lieto, il cesse ad uno dei compagni, che, ammirati e silenziosi, gli erano stati intorno.
Ero così preso di ammirazione anch’io, che non diedi orecchio alla musica, e quando finito il canto, tutti si mossero e gli stendardieri procedettero innanzi, mi dolsi di non aver mandato un bravo a quel caro giovine che aveva saputo maneggiare come un fuscello e tener sempre diritto come una candela quello stendardo, che, in media, raggiunge l’altezza di metri sette e il peso di chilogrammi trenta.
Non tirava alito di vento, se no, sarebbe stato impossibile riuscire in quelle prove senza pericolo.
La destrezza degli stendardieri è qui, come altrove in Sicilia, famosa e tradizionale.
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